MUSSAPI ROBERTO
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sulla strada
Il mio incontro con la poesia coincide con quello che ebbe l’uomo occidentale, letteralmente “Sognai la mia genesi”. A sei anni, appena appreso a leggere e scrivere, tra quei grandi volumi sapientemente illustrati di edizioni ridotte per ragazzi dei capolavori della letteratura di ogni tempo, subito scartai le storie sentimentali, Senza Famiglia, Cuore, I promessi sposi e rimasi incantato sulle pagine delle grandi avventure di mare e navigazione: Moby Dick, Capitani coraggiosi, e, rilucente, l’ultimo a uscire dall’immaginario baule del pirata, L’isola del tesoro. Pochi anni dopo, sempre in edizioni adattate per l’infanzia e illustrate (sono grato a quell’editoria che suscitò sogni e visioni nel bambino che ero, e per questo cerco di contribuirvi, ora, da tempo, come autore: il lettore che ha ricevuto diviene uno scrittore bramoso di restituire), l’Odissea. Più forte per me degli abbaglianti combattimenti di Achille e delle fiamme di Ilio (già allora prediligevo comunque Ettore, e le ragioni degli umani, della pietà, dei difensori) fu il lungo viaggio di ritorno di un eroe vittorioso ma dalla stessa vittoria condannato all’esilio, alla peregrinazione, al naufragio, perennemente colpito e incantato da sventure e miraggi, fino alla sosta nell’isola dei Feaci, la terra del sogno, dove la memoria si conglomera creando nella voce il racconto, la conoscenza di se stesso e la partenza per il definitivo approdo, Itaca, l’origine. Poi ci fu la Ballata del vecchio marinaio di Coleridge, a dodici anni (integrale, non ridotta, ma illustrata da Doré, che è quasi paragonabile a Walt Disney), poi La terra desolata, a quattordici, dove conobbi le vere insidie del viaggio per mare e nel destino che esso perennemente adombra, che non sono i cattivi venti e le tempeste, ma le annichilenti bonacce. Itaca, il ritorno, le rotte, il rischio, eterno ma ...
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