AMPIO PLANANDO
di Giorgio Mazzanti
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La voce soffiata
non morde la pietra
evapora presto
l’alito appena
un filo d’erba
mosso
ritorna al suo
posto
immutato
ansia di parola
fatta pane
e boccale
a sostenere
il vacillante piede.
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Benedice di frescura
l’esiguo spazio umano
la mite ombra
scesa dall’assolato pioppo
in questa calura
d’esistenza.
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Ad alta quota
il rondone
smaltisce nella riposata
quiete la stanca ala
del volo
ferma di immobile
abbandono
la vita ritorna al volo
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Senza viscere di vita
la parola
inaridisce
nascosto miscuglio
di carne e spirito
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Non storcere la parola
dilla vera,
dietro il bancone
due occhi
d’infanzia
questo diceva
mio padre
che sapeva.
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Nella risacca
tra alti scogli
senza storia né traccia
sparendo
nell’esserci
già così pieno
tra sole e fondo marino
- lo vide alcuno anche solo il bimbo
che costruisce serioso
palazzi di sabbia
e acqua.
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Ubriaca la mente
barcolla tra selciati
d’epoche e sfocate
luminarie
spossate;
vorrebbe il tatto
la mano sulla guancia
del mistero
leggère labbra
su palpebre riverse
vorrebbe un soffio
del fiato
riconoscere la voce
risentire il nome
dall’immemore abisso.
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Improvviso arde
da risvegliati boschi
il chiaro
da sotto il chiuso cielo
su bianche pareti.
Schegge d’anima i versi
lampi di ricordati pensieri
inseminati dalla nascita stessa.
Grida la luce
da sotto un casco
di buie ferite.
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L’ora che si scolora
nella luce che traluce
vibrata tra foglie
di pioppi alti sul rivo:
ristà l’acqua
rumoreggiando di sasso
in sasso tra spessi canneti:
fermo il silenzio
scorre da sé a sé
sussurrando d’esser vivo
tra insufflate parole.
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Rifaccio oggi gli essenziali
gesti di vita che unica mi insegnasti
nella penombra dei giorni
Lumeggia già la notte
appoggiata agli estremi
scuri rami del bosco
ormai buio.
Sottili pensieri
infilano di luce
allungate ombre
di bufera, forse
esile richiamo…
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Sulla pietra a ridosso ...
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