VLADISLAV FELICIANOVIC CHODASEVIC
BALLATA
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Io siedo raggiato dall'alto
in mezzo alla stanza fedele.
Contemplo in un cielo di stucco
un sole di venti candele.
Dintorno, raggiate anche loro,
stan tavole, sedie e divani.
Io siedo, e nel mio turbamento
non so dove metter le mani.
E candide palme polari
fioriscon sul muto cristallo.
In tasca mi battono l'ore
con un gran ronzio di metallo.
Inerte e meschina miseria
del mio sempre inutile giorno.
A chi dirò come mi duole
di me e delle cose d'intorno?
Ardenti e slegati discorsi,
ma dove ogni senso è distrutto.
Il suono è più vero del senso,
il verbo è più forte di tutto.
E musica, musica, musica
nelle mie canzoni s'intrama.
E perfida, perfida, perfida
mi penetra in cuore una lama.
Ed io cresco sopra a me stesso
ed al mortale mio affanno,
il piede alla fiamma sotterra,
la fronte alle stelle che vanno.
E vedo con occhi già grandi,
con occhi che sembran serpenti,
che porgono ascolto al mio canto
le povere cose dolenti.
In danza leggera e rotonda,
traquilla la camera gira:
qualcuno mi porge sul vento
la mia pesantissima lira.
Non c'è più né cielo di stucco,
né il povero sole mortale:
fra nere pareti di rupi,
Orfeo si intravede che sale.
(Tratto da: Tjazelaja lira -La pesante lira- 1922)
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