Khalid arriva a Bologna
A due voci: quella di Khalid, magrebino, assicurato, in regola con il permesso di lavoro, picchiato a sangue su una strada di Bologna perché, facendo manovra con il suo furgone, aveva strisciato due macchine parcheggiate; e quella della donna che ha raccontato la storia a un giornale locale, e che con la figlia manda avanti il bar del quartiere dove si ritrovano gli extracomunitari.
In un'isola tagliata col coltello, città del vostro Sud,
orecchini d'osso pendevano dai lobi di cinque mie sorelle
d'altopiano. Gente in tuta puzzava di benzina e proteggeva
i motori dalla sabbia. Io mangiavo in pentolini scrostati,
seduto sul gradino della strada, sporco di catrame e pesante
degli attrezzi. Corso via da casa, di furia e di tempesta,
ricordavo il sole rompersi a grani tra stuoie di stecche,
i quartieri svenati, marci, morti, e le colline disboscate.
Donne ridevano un riso che spariva, la strada incanalava
un vento d'olio, grasse navi suonavano motori con sordina.
Cinque mogli perdute, fiamme dei miei occhi, mi lanciarono
caute un'occhiata, senza farsi vedere a voltarsi per me.
*
Dicevano che il nostro bar era la base dello spaccio,
dava scandalo ai bambini della scuola qui vicino.
Hanno raccolto le firme, un migliaio, e a mia figlia
chiamata in questura le han detto di chiudere un mese.
Clienti da vent'anni: mai più visti, e loro si son presi
tutto il bar. Adesso la gente fa l'arco quando passa,
tira i bambini che non guardino, e a parte quattro
o cinque pensionati non viene più nessuno che conosco.
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