ROBERTO MORPURGO
PESCARA TRAGICA
I
Io sto come un gorgo di rondini
sopra il cielo
di naufraghi
fra nuvole azzurre
navigando
in balenìi
le onde
nidi di
gabbiani
II
Ha il mare in un guscio
di uomo abbracciato
la notte
a chele
di grandine
Per lapilli
di fango
abitate
E sul greto di terre
arano
i granchi
labirinti di
esodi
III
Mi sguscia il mare
come un ciottolo
in un bianco
barlume
di nembi
E mi
arrende
a
bianchissime
schiume
(firmamento di
grembi)
Come un geco
mi annida
fra le onde
IV
Pescara ebbe il mio corpo
vestito di mare
alga gli fu il vento
fresco il riparo.
E nel mondo ipersonne
vidi
l'alcione
la procellaria (e
ragni
prigioni di idee
d'aria).
Altrove scolpita nel marmo
ornato di pini
mi richiama l'ombra
di un uomo che fui
e nel dubbioso
andirivieni di sere mi chiede
chi sono.
Pescara una
sera
fu una spiaggia lungo
asciugamani
adunati a treccia
di carcerati
la gabbia sfondata
dai cani
infoiati
il falò
spento
che spingeva
a rovina
la sabbia,
la salina
V
Acque, mi segue il raglio
dei gabbiani infuriati
in cunei
di cielo incuneati Acuminato il
bagliore che sfolgora
ora
che città
e città si adoprano
sulla mia
aspra follia
ho udito.
Ora discende il sole
vespertina
soglia.
Viandanti
sono il deserto
illuso dall'eco.
Anche il geco
muto sigillo
al muro
gracile staglia un segno
perituro.
...
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