L'alto slargo della luce
di Andrea Cotti
L'alto slargo della luce che rimanda
il Novembre dei morti - e ora
mia insoutenable compagna della tristezza
affacciato alla piazza contemplo
- ma non immobile, non del tutto arreso -
il grigio e il nero nel quarto aperto tra i tetti
la linea delle nuvole occuparne lo spazio.
E questa mia, lo so bene, è una dolcezza
degradata lentamente in una febbre
che nel freddo nel caldo mi tiene,
una pellicola tiepida sopra il corpo.
Così scriverti, ma forse nemmeno:
ricompilare nel chiuso delle labbra
per te lettere e messaggi
questo cupo stremato brontolìo
che nella bocca frigge
e avrebbe bisogno di più gioia
che io credessi, che almeno sapessi sperare
una diversa congettura delle ore
la vita ritessuta più pienamente.
E invece è ai bordi che manco
più visibile agli orli lo scialo:
trascino con stanchezza un talento
il fiorellino più acceso a Maggio
l'aria non più salubre ma invasa
dal demone della nebbia. Vedi
manca davvero un'allegria diffusa
un'articolazione che le cose disponga
in luce, un nitore che la sera ci abbagli
nell'unico spessore che la pioggia lascia
all'orizzonte limpido, diluviato.
Ma nel mese dei morti sento proprio
estinta qui la felicità più intera
e che di questa rimangono avvisi
forse lumi, e che però io sono distante
rintuzzato sempre nell'onda
fredda che non torna, nel circolo scuro
della pioggia sul vetro.
Se ho continuato, se proseguo
è per una sorda forza nel ventre
che mi fa più uguale alle bestie ma è questa una disperazione
miniaturizzabile nei minuti
la ferita tra dente e dente
intrisa del veleno dolce.
Chiudo, chiudiamo: è il pensiero
stesso che dalle pareti si scolla
e tra gli altri va a giacere:
mi guida fino a te nella casa
l'...
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