Piccoli piaceri
Gio Ferri
Pubblicazione: Nozze pagane, Treviso, 1988
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I.
Il filo del silenzio
e quest'arnia che mutua
le sestuple risorse
e quanto più la cella
protende carnicina
quella rimessa al senso.
Toccala piccioletta
s'arrende nei martìri
al vincolo demorde.
II.
Ella, quando s'ostina
la puerile protervia
d'ardua normalità
le ricade l'orpello
nel rissoso registro
ancor ansie ripesca.
Disperata mistura
epperciò si richiama
quello sperduto poggio.
III.
Quando vienimi al
mio fianco ritrovato
quell'alveo vivacceso
io mi pongo le labbra
ivi risucchio vitule
mentr'ella ansa e chiama.
Ed io ancor altro non
merito se non qui,
slabbro arido ristoro.
IV.
Io vorrei che lacustre
e' mi s'offrisse sparto
il bosco ceduo di
profumi arsi et
ombrose vive insanie
anco l'ardita indagine.
Così, quando si vuole
la glandèola carezza
e dianzi ancora il senso.
V.
Miralo come veglia
e sentilo calura
e dentro la tua bocca
esplicita il risveglio
in quest'aspro richiamo
perso brìvido sènsile.
La potenza del pieno
l'alta marea rimira
e tu mi volgi il seno.
VI.
Questa piccola làmia
il verecondo armento
ei si ritempra il fulcro
ove rilancia il mirto,
o quando s'apre il serto
più durevole erto.
Ma dietro colli muschi
maia venerea assisa
succhia e risana i succhi.
VII.
Qui s'arrendono flambe
così di smunti uccelli
allarmati riposano,
eppur ergono voci
in quant'altri silenzi
or che d'altre stanchezze
le rinunce s'ardiscono
rimordono capezzole
avezze àrdie e stizze.
VIII.
Per cui gridi solingue
irrinunce e sollevi
impannule dimèntichi.
Tu ti riprendi invìtule
brami e voli rimòrdiche
strette affannule mischie.
Io mi sto con te all'ansia
come l'ansa m'accoglie
ove glàndula scarna.
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