Paolo e Virginia
I figli dell'infortunio
"Amanti, miserere
miserere di questa mia giocosa
aridità larvata di chimere!"
I.
Io fui Paolo già. Troppo mi scuote
il nome di Virginia. Ebbro e commosso
leggo il volume senza fine amaro;
chino su quelle pagine remote
rivivo tempi già vissuti e posso
piangere (ancora!) come uno scolaro...
Splende nel sogno chiaro
l'isola dove nacqui e dove amai;
rivedo gli orizzonti immaginari
e favolosi come gli scenari,
la rada calma dove i marinai
trafficavano spezie e legni rari...
Virginia ride al limite del bosco
e trepida saluta...
Risorge chiara dal passato fosco
la patria perduta
che non conobbi mai, che riconosco...
II.
O soave contrada! O palme somme
erette verso il cielo come dardi,
flabelli verdi sibilanti ai venti!
Alberi delle manne e delle gomme,
ebani cupi, sandali gagliardi,
liane contorte, felci arborescenti!
Virginia, ti rammenti
di quella sempiterna primavera?
Rammenti i campi d'indaco e di the,
e le Missioni e il Padre e il Viceré,
quel Tropico rammenti, di maniera,
un poco falso, come piace a me?...
Ti rammenti il colore
del Settecento esotico, l'odore
di pace, filtro di non so che frutto
e di non so che fiore,
il filtro che dismemora di tutto?...
III.
Ti chiamavo sorella, mi chiamavi
fratello. Tutto favoriva intorno
le nostre adolescenze ignare e belle.
Era la vita semplice degli avi,
la vita delle origini, il Ritorno
sognato da Gian Giacomo ribelle.
Di tutto ignari: delle
Scienze e dell'Indagine che prostra
e della Storia, favola mentita,
abitavamo l'isola romita
senz'altro dove che la terra nostra
senz'altro quando che la nostra vita.
Le dolci madri a sera
c'insegnavano il Bene, la Pietà.
la Fede unica e vera;
e lenti innalzavamo la preghiera
al Padre Nostro che nei cieli sta...
...
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