Luigi Capuana
Profumo
Al lettore
Io mi compiaccio - non ho nessuna ragione per nasconderlo - di questo mio romanzo che, nel 1891, accennava a un'evoluzione dell'arte contemporanea, manifestatasi apertamente alcuni anni dopo.
Immaginario paladino a ogni costo delle teoriche naturaliste o veriste, io smentivo col fatto la leggenda creata attorno al mio nome, trattando un soggetto che un critico autorevole ebbe a chiamare puro come un'ostia; e con esso non intendevo affatto rinnegare quei principii che vogliono per fondamento della creazione artistica l'osservazione della vita reale, ma mostrare unicamente che potevano benissimo applicarsi a soggetti di qualunque natura, perché nel mondo, per fortuna, accanto al male c'è il bene, accanto al senso il sentimento, accanto all'istinto la elevazione spirituale dell'umana coscienza.
È soltanto ora, rileggendo su le bozze di questa ristampa, dopo quasi dieci anni, il mio lavoro, ho capito perché mai quel critico da me citato si domandava: In qual parte del cuore, in qual remoto angolo della fantasia ha il Capuana trovato la vena di tanta tristezza? Non lo sapevo fino a giorni fa. Oggi lo so, o almeno credo di averlo indovinato.
Senza intenderlo nell'atto della concezione e dell'esecuzione, io venivo imbastendo un simbolo di me stesso e di parecchi altri che, al pari di me, hanno sbagliato la loro via, chiedendo alla vita più che essa non sia in grado di dare; non comprendendo, smarriti dietro un falso ideale, che il vero ideale è la realtà che si attua e si trasforma; la quale non è poi tanto disprezzabile, come io e parecchi altri abbiamo ingenuamente creduto.
Così, quel Patrizio Moro-Lanza, che non sapeva rassegnarsi ad accettare l'amore qual è, e che all'ultimo si decide a conciliarsi con esso perché finalmente capisce che la vita ...
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