Riccardo Bagnato
In memoriam
°***°***°***°
Ieri
sono tornato sugli appennini,
dove il fiato del vento è bambino.
C'era il mio nome,
seduto al tavolo di un bar,
fra i sogni,
con un fucile sotto il cuscino,
mentre i denti del cielo
battevano il freddo nel cuore.
C'era una donna,
dipingeva brandelli di scuse,
abbracciando come dopo una guerra
il suo grembo disfatto. Anche lei piangeva, da sola,
al ritmo di pietre sul fondo di un fiume.
Ascoltava i suoi piedi bussare,
fra risate e cristalli sui sassi,
un lento cadere,
un lento aspettare:
guardava lontano un falò.
Come avrei voluto ci fossi anche tu, a tenermi la mano.
Ho assaggiato la pioggia,
seguito l'odore dei vetri da cui ti ho guardata
comprare una volta la frutta.
Ho appoggiato la testa
sull'inganno dei gesti,
mentre la voce di un crollo, lontano,
s'incollava alla pelle, conficcata nel vento,
cercando l'uscita su un ponte.
Una lucertola ho visto che ha perso la coda,
ho visto la donna picchiarsi sul petto,
passava col ferro
sulle sbarre del tempo. Poco dopo, l'inferno.
Ho letto il giornale,
l'apertura diceva: "Prepariamoci al peggio".
Dietro l'angolo il mondo sommerso
è riemerso mostrando le ossa.
Centomila. Sono i pezzi di sogni spezzati.
E ora tutto si va scomparendo ad oriente,
emergenza,
che emerge dall'acqua nel fango,
dal fango alla terra.
Stare fermi. Fermi.
Mi ripeto bloccato dal caldo
trasparente sospiro dei vermi.
La notizia mi prende la carne,
afferra il silenzio, si china nel nulla.
Ma tu, non avere paura.
Continua a pregare.
Continua a pregare.
Continua a pregare.
Bruciano qualcosa laggiù, lo vedi, amore?
Sono nostri fratelli,
sono figli, sono figlie, a migliaia,
hanno acceso l'orrore, hanno spento il futuro.
I nostri occhi laggiù,
...
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