IL CORSO ALL'ALBA
Oh bello è pure, al soffio
dell'aura mattutina,
il Corso, ove s'esercita
la boria cittadina
quando sui tetti e i platani
da lunge il sol si specchia,
e lieto si apparecchia
alla discesa in mar!
Or che son muti i cembali
nell'aule dei palazzi,
e, in larghe pieghe, immobili
riposano gli arazzi,
né sui balcon sorridono
le matrone galanti,
e i giovani leganti
stan pallidi a russar:
è questa l'ora; o amabili
compagni, è questa l'ora;
coll'arte nostra lepida
qui poesia s'infiora:
lungo lo sporco lastrico
seguitemi cantando,
il campo è nostro e in bando
è l'alta società!
Tornano a coppie i poveri
lattai dalle cascine,
che la sera amoreggiano
le fulve contadine,
mentre ai bifolchi narrano,
raccolti nelle stalle,
l'ardor delle cavalle
che trottano in città.
Dal dazio, ove scroccarono,
tremando, la dogana,
poi che i vietati viveri
levâr dalla sottana,
le scaltre serve corrono
al ganzo servitore,
mentre sognan d'amore
le padroncine ancor.
Udite: ove fra splendidi
cocchi e noti destrieri
le frasi sospirarono
di dame e cavalieri,
i buoni, inconsci villici
parlan di gelsi e viti,
e degli armenti aviti,
e dei pruneti in fior!
E intorno a lor, corteggio
quasi di antichi amici,
belan le capre, garrule
del monte abitatrici,
e i mandriani intuonano
a bassa voce i canti,
che le greggie vaganti
chiamavano all'ovil;
ed ecco, ecco le vittime
dell'afa cittadina,
la vecchierella tremola,
la pallida bambina,
che sofferenti e misere
uscir non ponno ai colli
a respirar le molli
aurette dell'april;
da quel latte, che tiepido
gli aromi ne ha portati,
speran suggere il balsamo
dei zeffiri vietati,
e delle pure mammole,
e dell'alpestre timo
lungi dal nostro limo
cresciuto in libertà.
Ma le campane vigili
...
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