ALL'OSTERIA
Son solo: il portico
dell'osteria
mi manda i cantici
dell'allegria,
qui, dove mesto
tra stranie mura,
penso alla incerta e fosca età ventura.
Quei che gavazzano
giù, fra i bicchieri,
quelle son anime
senza pensieri:
esse non sognano
nell'avvenire
che egual vicenda di volgar gioire.
Sempre essi fiano
servi, facchini,
o pizzicagnoli,
fabbri, arrotini:
arti tranquille,
in cui perito
è l'uom che mai non si è tagliato un dito.
Ed io? nel fervido
volo degli anni,
sconfitte immagino
e disinganni,
dopo il divino
premio, promesso
quel dì che all'Arte ho dato il primo amplesso!
Oh come parvemi
piana la via!
Come la gloria
poco restia,
e fida ancella
del mio pensiero
la man che tenta riprodurre il vero!
Ma dall'immagine
che in me si cela,
all'artificio
che la rivela,
perché un abisso
frapponsi, o Dio,
e enigma è ancor per tutti il pensier mio?
Perché, se l'anima
nuota nel bello,
perché non transita
nel mio pennello?
Il fiume pieno
straripa, vola,
e avrà saldo confin l'anima sola?
Ma che! cominciano
a bestemmiare?...
Senti i propositi
dell'uom volgare,
senti l'ingiurie,
che rimbalzando
già cedono al baston l'aspro comando!
Addio tripudio
delle canzoni,
si pensi a tergere
le contusioni:
povere spose,
voi che aspettate,
per questa sera, via, v'addormentate!
...
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