I SUPERSTITI
Una mesta mi additarono
giovinetta a brun vestita,
e mi dissero: È la Rita
che ha perduto il genitor!
Pochi mesi sorvolarono,
la rividi in una festa:
avea candida la vesta
e danzava in mezzo ai fior!
Vidi al corso un cocchio splendido:
son gli eredi di un marchese,
che di qui, non corse un mese,
dentro il feretro passò!
Una sposa mi mostrarono
più di ogni altra seducente,
e allo sposo sorridente
qual chi molto e a lungo amò...
Così bella, così giovane,
chiusi gli occhi a un altro avea:
or le fila ritessea
dell'amor che sepellì!
Sì, fra i canti dell'esequie,
scorron lagrime dirotte,
ma, asciugate in una notte,
son sorrisi al nuovo dì!
Sù, coraggio, o musa pallida,
vieni meco al cimitero;
ve' di croci il campo è nero,
e siam soli in mezzo a lor!
Ma non val sospiro o lagrima
quest'oblio dei visitanti:
siamo tutti commedianti,
commediante è il tuo cantor!
Spesso i giorni dei superstiti
son da un feretro abbelliti,
dei nepoti agli appetiti
desco è spesso un freddo avel;
se qui pria giunge la figlia
presto il padre si consola,
che davanti a un'altra stola
potrà dare un altro anel;
più il riccone invecchia e al parroco
sospirar fa i bruni arredi,
più la rabbia degli eredi
gli conforta i vecchi dì.
Se... ma tremi o musa? debole,
tanto inver non ti credeva;
che? tu pur se' figlia d'Eva,
e tu lagrimi così?
Oh all'inferno e pianti e tumuli!
Ritorniamo a porta Renza,
là è l'altar dell'apparenza
tutto è festa, e buon umor!
E stassera, o mesta vergine,
noi stassera, danzeremo,
e nel vino affogheremo
le mie ciancie e il tuo dolor!
...
|
|
|
|
|
|